Recensione: "La mia Brexit" di Francesco De Carlo

La mia brexit: diario di un comico nel posto giusto al momento ...


Titolo: La mia Brexit

Autore: Francesco De Carlo

Casa Editrice (italiana): Bompiani, Giunti Editore

Data di pubblicazione (italiana): Marzo 2019

Formato letto: cartaceo, 14,25 €













“ In fin dei conti è proprio vivendo all’estero che ho scoperto quanto sono italiano, quanto gesticolo, quanto parlo ad alta voce, quanto sono insofferente alle regole e al politicamente corretto, quanto vorrei fischiare alle donne da una vespa in corsa come in un vecchio film neorealista e quanto mi piace la carbonara. “


Ho deciso di recensire questo libro di getto, senza pensarci troppo. 

So che si discosta pesantemente dalle recensioni che potete trovare su questo blog, e probabilmente vi state chiedendo se non mi sia fumata qualcosa. 

Onestamente, non avrei mai letto questo libro. Insomma, sono in quel periodo della vita dove voglio leggere solo quello che mi va, qualcosa di non troppo impegnativo e che mi aiuti a dimenticare la realtà. E questo libro si discosta completamente da tutto ciò. Ho riscoperto le paure e le ansie che mi stavo nascondendo, riportandole a galla in modo brutale e facendomi dubitare dalle mie scelte. 

Ma forse è meglio partire dal principio. 

Ho ricevuto questo libro in regalo lo scorso Natale. È stato un regalo pensato e un po’ ironico, voluto a sdrammatizzare la situazione di chi, come me, ha lasciato l’Italia per trasferirsi nel Regno Unito dopo il voto favorevole alla Brexit. Non voglio annoiarvi troppo con i particolari, quindi cercherò di essere sintetica.

Mi sono trasferita ormai un anno fa nella ridente Exeter, capoluogo del Devon, cittadina semisconosciuta ai più. Va bene, togliamo il “semi”: sconosciuta alla stragrande maggioranza degli italiani – e alla sottoscritta, prima che firmasse il contratto di lavoro. Non è male come posto per vivere. Siamo nel sud-ovest dell’Inghilterra, praticamente appena prima della famosa Cornovaglia. La gente viene ad Exeter per due motivi: per l’Università (pare che sia la quinta per importanza dell’Inghilterra) e per ritirarsi a vita tranquilla, dopo essere andati in pensione. Eh sì, un bel mix. Immaginatevi una cittadina di circa 120 mila abitanti, popolazione che aumenta tra settembre e giugno, dato l’afflusso di studenti provenienti da tutto il mondo. Pare che, negli ultimi anni, sia aumentato esponenzialmente il numero di studenti stranieri provenienti dall’Asia: cinesi, giapponesi, indiani, pakistani, coreani, ecc. Quindi, provate a visualizzare la situazione tipica della domenica alle 11:00 di mattina: nei tavolini fuori dai pub puoi trovare gruppi di signore in là con gli anni intente a brindare con una flûte di prosecco (pare che sia all’ultima moda, qui nel Regno Unito), mentre dedicano tempo al loro brunch, circondate dai residui dei bagordi fatti dagli universitari la notte precedente.

Vorrei sottolineare, come è presente anche nel libro di De Carlo, che italiani e britannici hanno una concezione diversa di alcool. Se per noi l’alcool è un mezzo di condivisione, per loro è semplicemente un modo per dimenticare e disconnettersi dalla realtà: non ho mai visto così tante persone ubriache fino a quanto non mi sono trasferita qui. Non a caso, l’alcolismo è LA piaga della società anglosassone. Quindi, a titolo informativo, se andrete mai a visitare la fabbrica della Tennent’s a Glasgow, non aspettatevi di trovare la “Supere Tennent’s” di 9°. Pare che siano stati “costretti” a venderne i diritti ad un paio di birrerie del Vecchio Contenente (una in Germania e l’altra in Italia) per poter salvare la loro immagine sociale e, da ormai una quindicina d’anni, non la distribuisco più in UK. Dunque, non pensate che le signore di una certa età nominate nel paragrafo precedente siano tanto innocenti: non si fermano mica alla prima flûte. Sono, infatti, capaci di passare al gin tonic fino allo stordimento, ovvero fino a quando non riescono, in un modo o nell’altro, a salire su un taxi che le riporti a casa dal marito. 

Sto divagando, ora, scusate. Ritorno al libro.

De Carlo racconta la sua esperienza con semplicità, quasi questo libro fosse uno dei suoi monologhi e lui stesse parlando direttamente a te lettore. Perché lui sa che, se stai leggendo questo libro, ti trovi, molto probabilmente, nella sua stessa situazione. Credo che lui adesso sia rientrato stabilmente in Italia e stia proseguendo la sua carriera tra radio e televisione.

Uno degli argomenti affrontati nel libro è la solitudine. Cavolo, il Regno Unito ti può veramente far sentire sola. Non sto dicendo che non ci siano persone speciali ed affettuose, qui. Semplicemente la gente sembra essere più concentrata su sé stessa, più fredda, più di fretta (pure nell’ubriacarsi: eating is cheating) e più distante anche fra membri della stessa famiglia (concezione completamente diversa da quella mediterranea). E questo, se sei arrivato, come la maggior parte degli italiani, da solo e senza conoscere nessuno, è un ostacolo decisamente difficile da superare. Alcuni ragazzi arrivano in UK, lavorano per qualche mese e poi tornano a casa. I più coraggiosi si fermano qualche anno, prima di cedere alla chiamata della Patria. Poi, noi italiani tendiamo sempre a fare gruppo, per passare serate nostalgiche a lamentarci davanti ad una birra annacquata, insultando Domino’s e disgustati dal caffè di Starbucks (che poi, si può veramente chiamare caffè? Per me non è altro che acqua sporca). Quindi fatichiamo a creare legami con gli autoctoni. Non a caso, le persone a cui sono più legata qui sono spagnole. E voi direte: “E che c’entra?”. Beh, gli spagnoli sono quello di più simili agli italiani, senza esserlo. Perché? Perché hanno una cultura simile alla nostra, seppur apprezzino la famosa pineapple pizza, ma non parlano la tua lingua, quindi ti tocca sforzarti di parlare inglese. Non facile, ma utile, a lungo andare. 

Lo scrittore si mette a nudo, mostrando la sua parte vulnerabile. Facendo ciò, mette a nudo anche il lettore, spingendolo a riflettere e porsi delle domande che, spesso, non trovano risposte. 

Il libro è brillante, divertente e triste allo stesso tempo, thought-provoking, come direbbero qui, in terra di sua Maestà Elizabeth II, che, tra l’altro, alla veneranda età di 94 anni compiuti a fine aprile, è stata paparazzata a cavallo giusto l’altro giorno. Che sia l’alcool o l’aria di Londra? Chi lo sa. In qualsiasi caso, lei rimane icona intramontabile di un Paese che, purtroppo, sta perdendo il suo fascino e la sua attrattiva. 

Ho particolarmente apprezzato il messaggio finale che De Carlo lascia al lettore. È un messaggio incoraggiante, che arriva alla fine di un libro che può portarti quasi allo sconforto, quanto è capace di andare a stimolare i punti giusti. Lo riporto qui sotto, perché questo dovrebbe essere detto a tutti gli italiani che lasciano la loro casa, la loro famiglia, gli amici, la routine, per buttarsi in una nuova avventura. 


“Non lamentatevi. Vi mancheranno il sole e la carbonara,ma là fuori ci sono un mondo fantastico da scoprire e persone nuove da incontrare. Uscire dalla comfort zone è l’unico modo per crescere, quindi stringetevi una sciarpa al collo, sorridete e every little thing ganna be alright.”


Darei un bel 4,5 stelle su 5 a questo libro. Prima di tutto, per fare contento Francesco De Carlo: ha tanto agognato di avere una recensione da 4 stelle quando è arrivato a Londra, che mi sento in dovere di dargliene addirittura mezza in più! Scherzi a parte, se le merita tutte. Ringrazio la persona che mi ha regalato questo libro, e ringrazio anche la decisione presa qualche giorno fa di non portare il mio fidato Kindle in spiaggia (ho troppa paura che la sabbia finisca per farlo andare in tilt), e di aver preferito questo libro cartaceo agli altri che avevo a disposizione. 

Non so se De Carlo ha in programma di scrivere un altro libro. Nel qual caso, lo leggerò di sicuro!

Alla prossima recensione, ragazzi. Spero di non farvi attendere troppo.

Cordialmente,

 B.


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